Io me ne andrò cantando una canzone che non hai ascoltato, ti lascerò un amore che non hai capito. Altro non ho. Non piangere fanciulla in compagnia dei più sarò, io come loro povero da sempre, mi riconosceranno. Ho lavorato la terra, il legno, la pietra. Ora le mani stanche appena riescono a fare il segno della croce.
Alberi bassi rami ritorti dal libeccio nascondono lingue di luce tra le frasche simili a pugnali. Piove, cielo e mare unico grigio, freddo, come la mia tristezza. Alba viola con lacrime di pioggia sulla costa bruna, rendimi il suo riso, gli occhi suoi che illuminarono le volte del mio cuore.
Ti lascio quel tanto che ho avuto e quel poco, poco che ho dato. Lo affido alla tua sensibilità cinica luce della mia esistenza.
Abitai con te per lunghi anni miseria e vedemmo scendere dai vetri dello studio il gelo. Erano gli anni che cercavo di saper chi ero. I ferri luccicavano sul taglio. Ti riscaldavi ai marmi e non sapevi che i giorni felici ti correvan negli occhi mentre lavoravi.
Ora non vedi più il ritorno dei segni e della luce sopra una forma che nasceva poco a poco. Grandi silenzi nella mente squillano, come sonagliere d’un re d’antico tempo, e tu buffone che cerchi?
Nelle gole nere della notte quando un gelido vento fischia la sua marcia per le strade deserte avvolta in una nuvola rossa appare la morte, danza e cerca un cavaliere.
Il silenzio allarga un tempo immemore. Attorno colori e cose perdon la loro essenza in orizzonti sfuocati. Spazzi colmi di forme urlanti in cerca di riposo. Linguaggi nascenti soffusi appena salti di luce su te che stai passando e sei già perso nell’infinito.
Mattino di vetro, ghiacciato, sulla strada colma d’auto un cancello spalancato per quelli che escono di scena. Varcato il cancello tutto si placa si ferma. Gli spazi ingrandiscono l’Uomo scompare. Ti viene incontro una misura nuova di colori freddi che non ha più tempo. Ti salutano tutti con un cenno della testa, in silenzio, e nessuno sa chi sei. I gesti sono lenti ed è più freddo quando la gente si incammina verso la cappella, come all’ingresso di una stazione. Da qui si parte senza saluti, senza lacrime ormai accompagnato soltanto da uno sguardo che fruga in un vuoto di ricordi senza più contorni senza più colore.
Corri sulla montagna a ritrovare il sole e la purezza intera, nei cieli di cobalto, oltre le cime degli abeti, oltre le punte aguzze delle rocce, ove l’uomo ancora non è riuscito a condurre la sua vergogna.
Ricordatemi sempre come un bimbo con le mani protese ai vostri volti. Ricordate di me soltanto il cenno delle mani distese a una carezza. L’amore non si vede nelle cose del giorno o della sera. Non si vede l’amore nell’accorto trascorrere dei giorni. Non ha controllo questo sentimento. E’ solo un dono che riman nascosto.