L’onda si rompe contro la scogliera e urla. La sofferenza taglia ogni sembianza, impallidisce i segni del tuo viso. Ascolto lacerare di te anima e carne insieme per amore. Ascolta. Non posso più sentire il tuo terrore negli occhi della sera. Dormi io ti accarezzo ancora.
Ti ricordo ancora correvi sulla rena e i capelli alzavano ali brune. Gli occhi feriti dalla febbre d’estate. Poi, d’un tratto, ferma ascoltavi in silenzio. Il vento ti correva sulle braccia nude. Com’è breve dopo lunga attesa la profonda quiete che ti scende dentro e cancella di te ogni memoria. Tornare indietro nel tempo con un volo d’anni ritrovare la via che un giorno avevi fatto con il sole negli occhi.
Io t’ho vista passando di notte dietro la tenda rossa della tua finestra. Ho visto il tuo sorriso d’ossa e la mano che accennava un richiamo quando la luna agitava nelle tue orbite vuote disegni osceni. Ho inteso allora il freddo della notte che mi scendeva dentro come una cascata di vetri rotti.
Io sono già lontano ormai, sopra una nuvola che corre bassa sotto una cappa di coltelli viola. Sono lontano ormai, non odo più irridere ogni gesto ed ogni mia parola. “Noi fummo le scarne mute pattuglie” che cariche di morti seppero ancora parlare d’amore quando la morte bivaccava tra gli ulivi. Romanticismi d’acqua ove banchettano affogati. Cadute dunque le strutture dei Cézanne e dei Mondrian nel più banale degli oltraggi. L’inutile volo di Picasso. Solo le cose inutili penose salgono in questo mondo nel credo della gente. Mai si vide tanto vuoto intorno così assurdamente applaudito.
Un confondersi di canti e urla di sirene e pianti e sangue e puzza di bruciato. Sono tornato ancora senza riso lungo i marciapiedi lavati ad aspettare i miei ragazzi. Mi scoprirò a piangere con loro che sono nati tristi e sanno che nessuno fuggirà i suoi giorni. E’ vero verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Si rompe ogni mattina il sogno di una sera e più cruda si fa qui dentro a me l’immagine del giorno da venire. Non scomparire, lieta sequenza della sera. Resta negli occhi accesi dalla fatica di una assurda ricerca, quando l’anima brucia come un sole sulla cima dei cipressi, al calare di ogni giorno inquieto che la luce sul finir d’ogni sera, tinge di sangue acre come una muleta. Ritrovo la mia desolazione e, con terrore, mi vedo correre incontro un altro giorno.
L’anima è un deserto di sale che filtra la tua consolazione e non rimane che sete. Un pianto d’anni non ha cresciuto un fiore. Un’assenza di ricordi alla deriva, in un mare l’indifferenza. Triste lotta per sollevare Un carico di pene, forse di altre vite, una condanna a vivere senz’ombra, un obelisco al sole su un infinito lago di metallo. Lascia cadere l’anima nel buio, unico amico della disperazione, perché la vita è un nodo senza fine che insabbia ogni virtù, una pinza che taglia ogni germoglio fuor della stagione. Perché siamo già morti noi qui, vivi appena a recitare nella grande farsa. Manichini di carne ormai scarsi di luce in una danza oscena. Signore, incapaci di riscattare il tuo sangue su due pali in croce.
Notte di ghiaccio immagini veloci come misericordie. Notte di nascita e d’amore. Notte di guerra e di morte. Notte feroce, di fughe, di volti protesi. Notte d’orbite vuote, mani alla gola. Notte di terrore senza lacrime. Notte di vetro e d’alcool. Notte di muri bianchi e fiori sporchi su strade bagnate. Notte di pattumiere ammucchiate, di biciclette ai portoni. Notte d’occhi accesi in attesa, di colli lunghi e cosce fasciate di nylon. Notte di cenciaioli ubriachi, su per voragini di catrame, lungo castelli di gasometri. Notte di fumo con occhi rossi e verdi. Notte di baveri alti in sequenze improvvise di luci ed ombre, con ruote, fischi, cozzi, cadaveri. Notte di fiumane improvvise alle uscite, nella luce di manifesti gialli.
Attesa di una voce che faccia meno triste questa sera. Attesa con occhi e mani contro un cielo di vetro ad aspettare un gesto un segno almeno per poter correre incontro ad altro giorno con labbra meno tese. Perché il silenzio è un mare di piombo che scaglia scheletri urlanti su scogliere di ferro dove la luna apre con improvvisi fragori specchi d’alghe. Perché il silenzio è un’aguzza ricerca di suoni in una piana bruciata. Suoni di richiamo d’inganno come esca grassa in una buca cieca irta di punte. S’aprono solchi rossi nell’anima di velluto. Parole aspre veloci come frustate di zinco su mani livide di ghiaccio. Parole che il vento sbatte in faccia come gli spruzzi della stura. Silenzio d’anni in cui il tempo s’ammanta di cipressi e nuvole su laghi di sangue. Perché il tempo è una grande scure obliqua in attesa sopra un viale di gole.